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La moda italiana sta attraversando una delle fasi più difficili degli ultimi anni. I dati congiunturali diffusi dall’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese mostrano un quadro preoccupante: nei primi otto mesi del 2025 la produzione nel tessile, abbigliamento e pelli è calata del 6,6% rispetto allo stesso periodo del 2024, un calo nettamente superiore alla media della manifattura italiana (-1,4%). Anche il mese di agosto conferma il trend negativo, con una flessione dell’1,9% su base annua.
Export in discesa, import in crescita
Il comparto sconta una doppia pressione: la diminuzione dell’export (-3,4% nei primi otto mesi del 2025) e la crescita delle importazioni (+3,4%), trainate dall’aumento dell’8,2% dei prodotti extra-UE, in particolare dalla Cina, che copre oltre un terzo delle importazioni del settore.
«Il prezzo sociale della crisi è alto – spiega Daniela Biolatto, presidente dell’Area Moda di Confartigianato Cuneo –. Solo nel secondo trimestre del 2025 hanno chiuso 1.035 imprese del tessile, abbigliamento e pelli, di cui 843 artigiane: undici chiusure al giorno, nove delle quali nel mondo dell’artigianato. Stiamo perdendo non solo i laboratori, ma anche il patrimonio di competenze e qualità che ha reso celebre il made in Italy».
Tra inflazione e mutamento dei consumi
A peggiorare la situazione concorrono fattori strutturali: la riduzione del potere d’acquisto dopo due anni di inflazione, la maggiore sensibilità ai prezzi, l’aumento del risparmio delle famiglie e il peso crescente della transizione green, che orienta verso modelli di consumo più circolari.
Secondo un’analisi della Banca d’Italia, la quota della moda italiana negli scambi globali si è ridotta, anche per effetto dei dazi commerciali e della competizione asiatica. La frenata dell’export verso gli Stati Uniti, in particolare, pesa su un comparto che fatica a sostituire i prodotti cinesi, più economici e facilmente replicabili.
Un settore ancora fortemente “umano”
L’Italia resta comunque il primo Paese europeo per occupazione nel settore moda, con 461 mila addetti, pari al 27% del totale UE.
«La produzione tessile non è un comparto automatizzato – ricorda Biolatto –. Ogni capo è frutto del lavoro di un artigiano. Quando un vestito viene venduto a prezzi irrisori, è evidente che dietro ci sia sfruttamento della manodopera. Dobbiamo difendere il valore del lavoro e della qualità, non piegarci alla logica del low cost».
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